Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente, misteriosa mafia svanirà come un incubo (Paolo Borsellino)
... Ci sono stati uomini che hanno continuato nonostante intorno fosse tutto bruciato perchè in fondo questa vita non ha significato se hai paura di una bomba o di un fucile puntato... (Pensa - Fabrizio Moro)

Liberiamo la nostra Isola...Facciamo crescere il coraggio della denuncia!!!
L'INFORMAZIONE CHE VORREI...
Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. pretende il funzionamento dei servizi sociali. Tiene continuamente allerta le forze dell'ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. (Giuseppe Fava)

sabato 10 maggio 2008

IN 6.000 A RICORDARE IL SACRIFICIO DI PEPPINO

CINISI (PALERMO) - Dietro lo striscione con scritto "La mafia uccide il silenzio pure" è partito, da corso Emanuele a Terrasini, il corteo che ha ripercorso l'ultimo tragitto fatto da Peppino Impastato la notte in cui venne ucciso, trent'anni fa, dai mafiosi del boss Tano Badalamenti. Dalla vecchia sede di 'Radio Aut', le oltre seimila persone hanno raggiunto Cinisi, dove la manifestazione si è fermata davanti l'abitazione natale di Peppino Impastato. Fra la folla anche l'ex leader di Dp, Mario Capanna."La storia e l'impegno di Peppino Impastato sono un patrimonio per la sinistra e per le giovani generazioni - afferma Giusto Catania, europarlamentare di Rifondazione comunista - Il suo esempio è ancora utile per comprendere come tutti coloro che ancora si battono per la trasformazione della società possono ricostruire identità e capacità di iniziativa"."Chi ha a cuore il cambiamento della Sicilia -dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo Pd al Senato - chi vuole continuare a combattere le ingiustizie e la mafia sa che è nell'esempio e nella memoria di Peppino Impastato che si trovano le motivazioni profonde di un impegno civile e di un rigore morale che sono condizioni essenziali per sconfiggere la mafia"."Peppino Impastato rimane un esempio per tutti i giovani che, a testa alta, sperano e lottano per il cambiamento, per una Sicilia finalmente libera dalla mafia -commenta il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo -Di Impastato dobbiamo ricordare la sua onestà, il suo spirito giovanile, il coraggio con il quale irrideva ai boss mafiosi del suo paese. Oggi, a distanza di tanti anni, ci piace ricordare il suo sorriso: il sorriso di chi, forte dei propri valori umani e sociali, non temeva di scontrarsi con l'arroganza e la prepotenza di efferati criminali e mafiosi". "Dai microfoni della piccola radio del suo paese - ricorda Lombardo - Impastato lanciava messaggi di legalità che non sono rimasti inascoltati. Le sue parole hanno fatto breccia non solo nei cuori di tanti suoi compaesani, ma anche dei tanti siciliani che, ancora oggi, dopo tanti anni, ne ricordano l'impegno, l'abnegazione e il coraggio. Se oggi la Sicilia è cambiata e si ribella con forza e determinazione all'oppressione mafiosa, questo lo si deve anche al giovane Impastato che, spesso in solitudine, affrontava i mafiosi a viso aperto. La Sicilia che si ribella al pizzo e alla mafia gli deve tanto e tutti noi, chiamati ad amministrare la cosa pubblica, abbiamo soprattutto un modo per ricordarlo, al di là degli annunci spesso retorici: fare ogni giorno il nostro dovere""Fra Terrasini e Cinisi non si era mai vista una manifestazione antimafia così nutrita - testimonia Giovanni Impastato, fratello di Peppino - È un giorno di ricordo e di festa - aggiunge Giovanni, con al suo fianco la moglie Felicia - Sto vedendo migliaia di persone". Tra le migliaia di persone si notano i gonfaloni dei comuni di Cinisi e di Gela. "Cinisi - dice il sindaco Salvatore Palazzolo - ha fatto una scelta antimafia chiara, non è più dalla parte di Tano Badalamenti, ma si riconosce in Peppino Impastato"."Anche i bambini possono fare qualcosa contro la mafia: possono, con l'aiuto dei loro insegnanti, conoscere la storia e le persone che l'hanno combattuta, come Peppino Impastato e Mauro Rostagno". Da Torino giunge anche il commento di don Luigi Ciotti che ha partecipato all' intitolazione di un giardino a Impastato. Don Ciotti ha raccontato come Impastato amasse la sua Sicilia e si muovesse fin da ragazzo contro l'ambiente mafioso, fondando prima un giornale e poi una radio. "Il suo punto di riferimento - ha sottolineato il fondatore del Gruppo Abele e dell' associazione Libera - era un torinese trapiantato in Sicilia, Mauro Rostagno, anche lui assassinato da quella mafia che denunciava attraverso un'emittente televisiva".

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mercoledì 2 aprile 2008

23 anni dopo la strage di Pizzolungo...

TRAPANI - "Nell'85 scelsi di venire a Trapani per proseguire un'attività avviata 5 anni prima a Trento. L'attentato ritengo sia da inquadrare in un progetto preventivo". A parlare è l'ex sostituto procuratore di Trapani, Carlo Palermo, il vero bersaglio dell'attentato di Pizzolungo del 2 aprile 1985, che provocò la morte di Barbara Rizzo Asta di 34 anni e dei due figli gemelli Giuseppe e Salvatore. L'ex magistrato oggi ha preso parte alla cerimonia di commemorazione delle tre vittime.Parlando delle indagini, Carlo Palermo, ha rimarcato la "contraddizione" legata al fatto che il processo a carico dei presunti esecutori materiali, "svoltosi a poca distanza dai fatti, sfociò nelle assoluzioni" e che "la condanna dei presunti mandanti avvenne molti anni dopo e solo per le dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, questi ultimi neppure ascoltati organicamente".Palermo ha poi ricordato che, all'epoca, "nonostante la chiedessi in continuazione, non vi era alcuna vigilanza sulla mia abitazione (una villetta al Villaggio Solare, in territorio di Valderice), né fu mai eseguita un'attività di bonifica lungo il percorso che facevo ogni mattina". Per l'ex magistrato, "l'assenza di un controllo preventivo ha concorso in quest'attentato". Ventitrè anni dopo riaffiorano nella memoria di Palermo "l'isolamento, sia da parte delle istituzioni che della popolazione che mi pesò veramente molto"."Ci fu più quel tentativo di voler dimenticare l'episodio - ha detto Palermo -, come se fosse stato estraneo ai fatti trapanesi, quindi, una cosa personale che riguardava soltanto me. Auspico che in un futuro prossimo maturino i tempi e le condizioni per una ricostruzione storica. Da 23 anni che inseguo determinate piste". L'ex giudice ha poi sottolineato che "oggi, finalmente, una parte della popolazione sta assumendo la consapevolezza che l'attentato di Pizzolungo appartiene alla storia di Trapani". Dopo la deposizione delle corone di fiori da parte dei sindaci di Erice, Trapani e Valderice e delle scolaresche del territorio, don Luigi Ciotti (presidente di "Libera") ha celebrato una messa nella chiesetta di Pizzolungo, alla quale hanno preso parte autorità civili e militari, magistrati e gli agenti di scorta rimasti feriti nella strage.Don Ciotti ha ricordato una frase del giudice Antonio Caponnetto, secondo cui "la mafia teme più la scuola che la giustizia", sottolineando l'importanza della diffusione, specialmente tra i giovani, della cultura della legalità. "Perché - ha aggiunto don Ciotti - si uccide non solo sparando con le armi, ma anche con l'omertà e l'indifferenza". Rita Borsellino ha rivolto a Margherita Asta, figlia di Barbara e sorella dei due gemellini, un "caloroso abbraccio. A lei - ha detto - mi lega un affetto profondo e la stessa esperienza di vita: quella voglia, quel bisogno di trasformare il dolore e la sofferenza in qualcosa di positivo, in speranza di cambiamento e costruzione di futuro".

giovedì 20 marzo 2008

Pietro Campagna: il sorriso di Graziella per sempre nei nostri cuori.

L'ho raggiunto a Saponara, davanti al cimitero. Quel cimitero nel quale sua sorella Graziella riposa da quasi 23 anni. Abbiamo parlato- ha parlato- di come si sta il giorno dopo una sentenza che sa di giustizia. Che è come se ti restituisse qualcosa anche se quel qualcosa- quel qualcuno, in questo caso- non tornerà mai. Pietro Campagna appare adesso più sereno. Non sono ancora trascorse 24 ore da quando la Corte d'Assise d'Appello del Tribunale di Messina ha emesso la condanna all'ergastolo per coloro che sono ritenuti gli assassini di sua sorella. I Carabinieri hanno eseguito il provvedimento di ripristino della custodia cautelare mezzora dopo rispetto alla sentenza o giù di lì. Hanno voluto stroncare sul nascere ogni minimo rischio di fuga. Così è stato detto in una conferenza al Comando Provinciale. Gerlando Alberti junior si trova adesso al carcere messinese di Gazzi, Giovanni Sutera a Firenze Sollicciano. Pietro Campagna è convinto che questa sentenza darà modo a Graziella di riposare finalmente in pace. Lei, quella ragazzina di paese così semplice e umile, ingenua e sempre col sorriso sulle labbra. Così la ricorda Pietro. Con la nipotina in braccio, intenta a ricamare o a lavorare all'uncinetto per prepararsi il corredo. Sognava di sposarsi un giorno Graziella. La mafia gliel'ha impedito. La mafia le ha impedito di realizzare i suoi sogni. Sogni semplici, per carità. Sogni umili, non certo di chissà quali ambizioni. Ma chi ha il diritto di impedirci di sognare? Chi ha il diritto di decidere il nostro destino? Chi?!! Graziella non c'è più. Con Pietro siamo stati sulla sua tomba. Stenti a credere in una storia di questo tipo. Con un fratello Carabiniere che svolge le sue indagini in proprio per risalire a chi ha rubato la vita ed i sogni di Graziella. Pensi sia veramente una fiction. E invece no. Quella di Graziella è una storia vera, accaduta in provincia di Messina nel dicembre del 1985 e che adesso- 22 anni, tre mesi e sei giorni dopo- sta conoscendo il suo epilogo, forse. Davanti a quella tomba resti disarmato, ti crollano le certezze. Ma ti arde un fuoco dentro. Un fuoco che non puoi descrivere, né spiegare. Una sensazione unica che non si può raccontare a parole. Per non mistificarla troppo o perché è giusto che certi sentimenti vengano tenuti nascosti nell'intimo della propria anima. Graziella stava finendo il suo corredo. Quel corredo rimasto a metà quando la sua vita non era arrivata neanche ad un quarto. La cassapanca, quella che quaggiù in Sicilia chiamiamo “cascia”, Graziella voleva riempirla di lenzuola, tovaglie, abiti. E dell'abito da sposa. Quello che suo padre non le ha voluto far mancare addosso nel suo incontro con l'eternità. Perché- disse il signor Campagna- ogni ragazza ha diritto ad avere il suo abito da sposa. E' sicilianità mista ad amore di padre, è dolore. Dolore vero. Chi può decidere il destino di un uomo? Chi?!! Sulla tomba di Graziella c'è anche un mazzo di fiori spedito da Beppe Fiorello. Con Pietro sono rimasti amici dopo che Beppe ha interpretato la sua figura nella fiction “La vita rubata”. E Pietro parla anche di quel film che- sostiene con fermezza- ha restituito dignità a Graziella, alla sua famiglia ed al paese di Villafranca, dove Graziella lavorava in una lavanderia. Quel film ha fatto conoscere all'Italia intera questa brutta storia di malaffare nella quale a rimetterci la vita è stata una ragazzina innocente che aveva il solo torto di avere trovato, nella tasca di un indumento, un pezzo di carta che certificava che l'ingegnere Cannata era in realtà un latitante palermitano rifugiato nel messinese grazie ad un'organizzata rete di protezioni. Dopo la sentenza, Pietro ha chiamato sua madre. Non ce la faceva a parlare. Poche parole. Quante bastano. Una madre, del resto, sa leggere nel cuore e nella mente di un figlio. Soprattutto una madre siciliana. Una madre col cuore in lutto da quasi 23 anni e che non ha mai dimenticato (e come potrebbe?) quella sera piovosa di dicembre. Cinque colpi di lupara al volto. “Graziella ha vissuto un'ora di martirio prima di arrivare a Forte Campone- sostiene Pietro- e io non lo dimenticherò mai. Non posso dimenticarlo. Ricorderò sempre Graziella con il suo sorriso, sarà sempre nei nostri cuori”. Ho ringraziato Pietro per la sua disponibilità e per la gentilezza. Non ho il coraggio di dirglielo, ma lo penso sinceramente: Graziella avrà sempre un posto anche nel mio cuore.

sabato 15 marzo 2008

La relazione della Commissione Antimafia su Catania e Sicilia orientale

CATANIA - Si presenta "frammentata" e in "continuo cambiamento" la galassia della mafia catanese.Ci sono tanti gruppi che operano in maniera autonoma e soltanto alcuni di essi possono considerarsi affiliati a Cosa Nostra e anche quelli che "si trovano in contrapposizione tra loro, a volte stringono alleanze", con "taciti accordi di non belligeranza e non interferenza" per fare affari o evitare l'interesse degli investigatori. Lo scrive la relazione della Commissione antimafia nell'analisi su Catania e la Sicilia orientale.L'intensa opera di repressione che è stata condotta negli anni precedenti, lo stato di detenzione dei capi storici delle singole famiglie, ed infine il tempestivo arresto dei soggetti che in successione hanno assunto la leadership dei vari gruppi hanno determinato uno stato di grave difficoltà per le singole famiglie mafiose. Nel momento attuale sembrerebbe vigere tra le famiglie una sorta di pax mafiosa, anche se si registrano, inoltre, forti ed inequivocabili segnali di riorganizzazione, agevolata anche dalla remissione in libertà, per fine pena o per effetto dell'indulto, di alcuni soggetti dalla notevole caratura criminale. Questo il quadro complessivo fornito dall'Antimafia sulle sei famiglie che operano tra Catania e Siracusa.La famiglia Santapaola- Ercolano, affiliata a Cosa Nostra, con le sue articolazioni sia a Catania centro sia in altri paesi della provincia e del distretto alla quale sono collegati, i seguenti sottogruppi: Assinnata, Santangelo, Sebastiano Sciuto, Brunetto, Catania , Squillaci e La Rocca.La famiglia Laudani, particolarmente presente nei paesi pedemontani ed, inoltre, a Paternò in collegamento con la famiglia Morabito; a Piedimonte Etneo con il gruppo diretto da Di Mauro Paolo; a Randazzo con il gruppo diretto da Rosta e Mangani.La famiglia Mazzei, affiliata a Cosa Nostra, nella quale è confluito il gruppo dei Cursoti milanesi. Gruppo diretto da Santo Mazzei, detenuto e da Santo Di Benedetto, arrestato il 24 giugno 2007. La famiglia Cappello: operante in alcuni quartieri catanesi (Civita e San Cristoforo), nel siracusano (Porto Palo) e a Calatabiano con il clan Cintorrino. La famiglia Pillera-Puntina, presente a Catania, guidata da Corrado Favara e Nuccio Ieni. La famiglia Sciuto-Tigna, presente a Catania. A questi storici clan mafiosi più legati al territorio catanese deve aggiungersi la famiglia radicata nel territorio di Caltagirone facente capo a Francesco La Rocca, personaggio di grande prestigio, anch'essa affiliata a Cosa Nostra.
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giovedì 6 marzo 2008

Resta a Messina il processo sull'omicidio di Graziella.

Il processo Campagna non si sposta da Messina. La Settima Sezione Penale della Cassazione ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Gerlando Alberti junior, imputato dell’omicidio insieme a Giovanni Sutera. Alberti aveva chiesto la revisione del processo per legittimo sospetto con il trasferimento ad altra sede giudiziaria. I due imputati, in primo grado, sono stati entrambi condannati all'ergastolo per l’omicidio di Graziella Campagna, la giovane stiratrice di Saponara barbaramente uccisa a colpi di lupara sui Monti Peloritani. Nei giorni scorsi, il Procuratore Generale aveva chiesto la conferma della sentenza emessa dalla Corte d'Assise. I giudici di secondo grado dovrebbero adesso pronunciarsi il prossimo 18 marzo. Recentemente, il processo ha destato una fortissima attrazione mediatica anche grazie alla fiction “La Vita Rubata”, diretta dal regista Graziano Diana con la partecipazione di Beppe Fiorello. Quasi 23 anni di misteri sono passati da quel freddo giorno di dicembre. 23 anni che la fiction vuole ripercorrere passo passo. In un primo momento, la messa in onda era prevista nello scorso novembre, ma – su disposizione dell’ex ministro della Giustizia Mastella- fu decretato il rinvio per evitare qualsiasi condizionamento ai giudici impegnati nel processo. La programmazione dovrebbe avvenire il prossimo 10 marzo.

martedì 26 febbraio 2008

Bari. Giovani kamikaze per la mafia.

Quando ho letto questa notizia, non credevo ai miei occhi. E' triste. Davvero triste. Vedete come la mafia distrugge tutto quello che incontra? Approfitta della miseria, dell'ignoranza... approfitta dei problemi e dei contesti sociali sbagliati per reclutare nuove leve per il suo sporco gioco. Solo una piccola riflessione: tempo fa un signore pugliese venuto in Sicilia apostrofò mafiosi i siciliani nella loro interezza. Boccaccia mia non seppe stare zitta e andai giù duro a dirgli che doveva vergognarsi delle offese gratuite che stava rivolgendo al mio popolo. E poi aggiunsi: "Guardi, gentile signore, che non é che dalle sue parti si stia benissimo. Eppure conosco pugliesi che sono persone per bene e signori con la S maiuscola". Tagliai corto perché il signore in questione ribadiva che dalle sue parti non c'è lo schifo che c'è in Sicilia. Mi sono detto:"Facciamo la guerra tra poveri. Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire". Perché questa premessa? Solo per dirvi che la gente ancora ignora o, meglio, preferisce ignorare i problemi del territorio in cui vive. Di seguito, la notizia riportata da www.repubblica.it
BARI - Un clan mafioso che disponeva di giovani 'kamikaze', cioè di killer di 20 anni pronti a fare "qualsiasi cosa" e a "sacrificarsi" per il bene dell'organizzazione è stato smantellato con 24 arresti dai carabinieri del comando provinciale nel rione san Paolo di Bari. Agli indagati, affiliati all'agguerrito clan Telegrafo, vengono contestati i reati di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione di armi ed estorsioni. L'operazione, denominata "Manhattan", è stata eseguita all'alba con l'impiego di oltre 300 carabinieri, supportati da elicotteri ed unità cinofile. E' stata coordinata dal comandante provinciale dei carabinieri di Bari, colonnello Gianfranco Cavallo. Nel corso dell'indagine, in cui sono indagate 61 persone, sono state sequestrate nove pistole, un fucile a canne mozze, circa 900 munizioni, 700 grammi di cocaina e sette chili di hascisc. Il clan Telegrafo è uno dei più vecchi e temuti gruppi criminali baresi. E' capeggiato - secondo l'accusa - dal quarantenne Lorenzo Valerio e dal suo luogotenente Carlo Iacobbe, di 38 anni, ed è già stato duramente colpito con 46 arresti nell'ottobre del 2003. La presenza dei 'kamikaze' ventenni è provata anche da intercettazioni telefoniche. In una conversazione tra due indagati uno dice all'altro, parlando sottovoce e consapevole di rivelare un segreto: "Qualche giorno...ti devo portare...ti devo portare a vedere i... i kamikaze; ragazzini di 20 anni!... di 20 anni...kamikaze!... ti dico kamikaze... che non... non ci pensano". All'inizio i militari quasi non credevano al contenuto di questo colloquio intercettato, ma la prova la raccolsero nel corso di controlli compiuti il 25 novembre del 2004 in via Riccardo Ciusa, al San Paolo. Per impedire la scoperta di una 'cupa' (un nascondiglio di armi), i vertici del clan decisero di mandare i kamikaze a sparare ai militari. L'agguato fu evitato solo perché i carabinieri avevano in corso un'attività di intercettazione e riuscirono ad anticipare per tempo le mosse del clan bloccando i responsabili di zona che non riuscirono più ad impartire i loro ordini ai kamikaze. Dall'esame dei tre assetti del gruppo mafioso, emerge che i ruoli e le competenze sono definiti nel dettaglio. Al livello più basso, il primo, ci sono quelli che i militari chiamano i 'kamikaze', ragazzini di 20 anni pronti a fare qualsiasi cosa per difendere e valorizzare l'attività del clan. Al secondo gli addetti allo spaccio della droga e alla riscossione dei pizzo. Al terzo i responsabili di zona, addetti alla gestione dei kamikaze e dei pusher e responsabili degli introiti, a diretto contatto con Carlo Iacobbe, con compiti di gestione e direttamente dipendente dal boss detenuto, Lorenzo Valerio. La scalata ai gradi più alti avveniva in base alla capacità di massimizzare i guadagni, all'omertà in caso di arresto e alla disponibilità nei confronti del clan, anche a costo di sacrificare gli affetti familiari. Se queste regole venivano rispettate si poteva accedere all'affiliazione di sangue, la cosiddetta 'terza', che sanciva l' ascesa dell'affiliato al vertice della gerarchia mafiosa. Il conferimento della 'terza' - secondo le indagini dei carabinieri - avveniva durante una cerimonia di affiliazione con giuramento di fedeltà al padrino, Carlo Iacobbe. Per suggellare l'evento, durante la festa, l'affiliato portava un anello con un solitario di brillante al boss. L'anello non era altro che il simbolo di un legame indissolubile, come un matrimonio. In caso di contrasti con il capo, l'anello non poteva essere più indossato a simboleggiare il momentaneo allontanamento dal clan. Il clan, secondo i carabinieri, teneva sotto stretto controllo tutti i commercianti, gli imprenditori edili e gli ambulanti del mercato rionale del quartiere san Paolo. Tutti erano tenuti a versare il 'pizzo', che arrivava fino a 1000 euro al mese. L'importo dell'estorsione era commisurata al volume d'affari delle vittime e doveva essere corrisposta puntualmente il giorno 5 di ogni mese. Chi ritardava veniva avvicinato da esponenti dell'organizzazione e minacciato. Anche le minacce sono state documentate - secondo le indagini dei carabinieri - da alcune intercettazioni telefoniche e ambientali. Una di queste riguarda il boss Carlo Iacobbe e il suo consigliere Raffaele Caputo. Uno dice all'altro: "Che sta facendo lo scemo!... ora passiamo.. devo dirgli: '... lo lasciasti il coso... che qua il pensiero devi mettere... che qua non stiamo a giocare... te lo dovessimo far vedere...!'".

venerdì 22 febbraio 2008

Estorsioni e droga in riva allo Stretto. 18 arresti a Messina.

E’ stata denominata
“Operazione Pastura”. 18 le ordinanze di custodia cautelare eseguite la scorsa notte dai Carabinieri del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Messina e dalla Squadra Mobile della Questura peloritana con l’ausilio di unità cinofile ed elicotteri. I provvedimenti hanno raggiunto personaggi di spicco della criminalità messinese accusati, a vario titolo e con vari ruoli, dei reati di estorsione ed usura commessi ai danni di titolari di alcuni esercizi commerciali della zona centrale della città dello Stretto, nonché di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. Il blitz ha avuto inizio alle 4:00, quando Carabinieri e Polizia hanno fatto irruzione nelle abitazioni degli arrestati, sorprendendoli nel sonno prima che potessero tentare la fuga. L’attività d’indagine ha avuto inizio a seguito della denuncia presentata l’11 settembre 2006, presso gli uffici del Comando Provinciale dei Carabinieri, dalla titolare di un esercizio commerciale. La donna ha raccontato ai Militari dell’Arma di essere stata vittima di una richiesta estorsiva avanzata da ignoti, consegnando un foglio con la richiesta di 30mila euro al fine di evitare che il suo negozio venisse fatto esplodere. Il 14 settembre dello stesso anno, fu un altro commerciante del centro a presentare denuncia. Vista la coincidenza di alcuni particolari (tra cui la richiesta estorsiva avanzata in entrambi i casi attraverso un manoscritto su un foglio di block notes a quadretti), le indagini sui due fatti sono state condotte parallelamente. Sin dalle prime battute, l’attenzione è stata incentrata sulla figura di Rosario Tamburella, sorvegliato speciale scarcerato il 16 agosto 2006 per aver beneficiato della concessione dell’indulto. L’uomo era già noto agli investigatori per essere stato arrestato per associazione mafiosa finalizzata alla consumazione di vari reati gravi, tra cui proprio l’estorsione. L’intuizione investigativa avrebbe trovato immediato riscontro nel corso di attività tecniche, pedinamenti, appostamenti organizzati subito dopo la presentazione delle due denunce. Denunce che intanto erano cresciute di almeno cinque unità. Dalle indagini sarebbe inoltre emerso che il Tamburella era dedito anche al traffico di sostanze stupefacenti quali cocaina e marijuana. Un traffico gestito attraverso una vera e propria associazione a delinquere composta, oltre che da pochi ma fidati affiliati, anche dalla moglie Carmela Catrini e dai figli Francesco e Giuseppina. Le indagini sul traffico di stupefacenti , condotte in maniera autonoma sebbene in piena sinergia da Squadra mobile e Reparto Operativo, avrebbero accertato che Rosario e Francesco Tamburella, così come Luciano Brigante, avevano assunto il ruolo di promotori, organizzatori e finanziatori. A loro spettava il compito di reperire il denaro necessario per l’acquisto di sostanze stupefacenti, curare l’acquisto e la custodia della droga, procurare al gruppo una base logistica per l’attività di spaccio o comunque per gli accordi relativi alle singole cessioni o alla nomina di legali. Nel corso di questa indagine sono stati sequestrati dalla Mobile complessivi 3 kg di stupefacenti. Questa cellula di soggetti dediti allo spaccio di cocaina e marijuana- secondo quanto riporta un comunicato stampa congiunto di Carabinieri e Polizia- altro non era che una propaggine dell’associazione del Tamburella. L’obiettivo comune era quello di aumentare il giro d’affari del sodalizio nella prospettiva di maggiori guadagni. Si delineano dunque due gruppi facenti parte dello stesso sodalizio. Uno i cui componenti sono ritenuti responsabili prevalentemente del reato di usura. L’altro, i cui membri sono accusati di essersi dedicati all’attività di spaccio. L’aspetto importante dell’”Operazione Pastura” è l’aver smantellato un gruppo che si stava organizzando per commettere estorsioni in tutta la città di Messina con un capo (Rosario Tamburella) che aveva il “via libera” dai più alti rappresentanti della criminalità organizzata del capoluogo peloritano. Grandissima la soddisfazione della Procura Distrettuale Antimafia sia per la sinergia ed il coordinamento con cui hanno operato Polizia e Carabinieri che per la consapevolezza di aver prontamente stroncato due gruppi che- sostengono gli inquirenti- avrebbero certamente minato l’integrità del tessuto sociale di Messina. I particolari dell’operazione sono stati resi noti stamattina in una conferenza stampa tenutasi presso i locali del Palazzo di Giustizia. All’operazione hanno partecipato più di 200 tra Carabinieri e Poliziotti.

giovedì 21 febbraio 2008

Sequestrato il tesoro di Provenzano e Lo Piccolo.

PALERMO - Beni per circa 150 milioni di euro sono stati sequestrati a un prestanome dei boss Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo. A farlo sono stati gli agenti della sezione Misure di prevenzione della questura di Palermo che, nell'operazione denominata ''Secret business'' hanno apposto i sigilli a centinaia di immobili in provincia di Trapani e di Palermo riconducibili ad Andrea Impastato, 60 anni, arrestato nel 2002 per mafia e ritenuto un prestanome dei due boss. Il patrimonio sequestrato comprende aziende operanti nell'edilizia e nell'estrazione di materiale da cava, complessi industriali, capannoni, terreni, beni mobili, conti correnti, depositi e titoli per un valore complessivo di un milione e mezzo di euro, e un complesso turistico-residenziale a San Vito Lo Capo, costituito da numerosi appartamenti e alcune villette. I provvedimenti di sequestro sono stati disposti dai giudici del tribunale di Palermo che hanno accolto la richiesta del procuratore aggiunto Roberto Scarpinato e del pm Gaetano Guardì, che hanno coordinato l'inchiesta. Tutti i beni erano riconducibili, direttamente o indirettamente, ad Andrea Impastato, figlio di Giacomo detto "u sinnacheddu", esponente mafioso di spicco della famiglia di Cinisi e legato ai Badalamenti. Un fratello di Impastato, Luigi, 65 anni, venne assassinato a Palermo il 22 settembre del 1981, agli inizia della guerra di mafia finita con il predominio dei corleonesi. Andrea Impastato era stato arrestato il 2 ottobre del 2002 per associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta su Pino Lipari, 73 anni, arrestato il 24 gennaio dello stesso anno e condannato come il consulente finanziario di Provenzano. Dall'esame del materiale informatico sequestrato a casa di Lipari è emerso che Impastato era stato indicato da Provenzano come amministratore delle ricchezze dei boss. Le successive indagini hanno portato a far emergere una serie di contatti, sia personali che economici, di Impastato con numerosi personaggi di spicco di Cosa nostra, come Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo.
Fonte: repubblica.it

martedì 19 febbraio 2008

Dal sito www.libera.it – XIII Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie.

La XIII Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie promossa da Libera in collaborazione con Avviso Pubblico si svolgerà il 15 marzo 2008 a Bari (data anticipata di una settimana rispetto al tradizionale e ufficiale 21 marzo, coincidente con il prossimo venerdì santo). La giornata, con il patrocinio della Regione Puglia, della Provincia e della Città di Bari, ricorda tutte le vittime innocenti delle mafie (su quelle pugliesi, circa quaranta, è calato il silenzio) - e rinnova in nome di quelle vittime l’impegno di contrasto alla criminalità organizzata.Per partecipare alla giornata occorre inviare l’adesione entro il 25 febbraio 2008 via e-mail all'indirizzo: mailto:bari.15marzo@libera.it o tramite fax allo 080 5772071.
Per avere informazioni su come aderire alla manifestazione dalla Sicilia, cliccate il link http://www.libera.it/palermo/PalermoBari.htm

lunedì 18 febbraio 2008

Spartaco e il sogno infranto. Chi era (chi é) Giuseppe Fava.

Tredici mesi per cullare un sogno, per dargli vita e voce, per farlo urlare di rabbia e sdegno. Tredici mesi. Troppo pochi per godersi un sogno, abbastanza per dare fastidio a chi, comunque, avrebbe continuato a fare il proprio gioco ben coperto da un precario senso della legalità. E’ il volto di una Sicilia bella ma schiava. Una terra sulla quale uno Spartaco coraggioso insorge contro una sleale dittatura. Per Giuseppe Fava la sua lotta a mezzo stampa contro la mafia entra nel vivo nel dicembre del 1982 con la pubblicazione della rivista “I Siciliani”, nata come mensile per questioni di budget. Il grande sogno di Fava è infatti quello di creare un quotidiano per mettere giornalmente a nudo le ingiustizie che si consumano nella sua Catania. “I Siciliani” nasce in un periodo gramo per la Sicilia e per l’intera Nazione, coinvolta nello scandalo P2. Fava ha deciso che niente fermerà la pubblicazione del suo giornale. Ecco in edicola il primo numero con articoli di costume, cultura, politica, cronaca e, ovviamente, mafia. Quella triste piaga di una splendida terra baciata dal sole e accarezzata dal mare che spesso cela atteggiamenti, situazioni e dichiarazioni che varcano la soglia dell’ambiguo. Ma è l’editoriale il pezzo forte: Giuseppe Fava conferma una visione cosmopolita del tessuto mafioso e scopre gli altarini, mettendo in evidenza i rapporti tra mafia e politica. Inoltre, svela apertamente il suo parere contrario al piazzamento dei missili americani nella Piana di Comiso. La rivista riceve lettere di ammirazione da ogni dove di un meridione d’Italia, perennemente in lotta per la sopravvivenza e, ovviamente, molto presto susciterà le ire delle alte sfere criminali, dove si staglia la figura del boss catanese Nitto Santapaola. Il sogno di Giuseppe Fava s’infrange in un’uggiosa sera del 5 gennaio 1984, quando il giornalista lascia Sant’Agata Li Battiati per dirigersi verso il Teatro Stabile di Catania, dove la nipotina ha un ruolo in una rappresentazione pirandelliana. Giunge sul posto e parcheggia. Poi, quattro colpi di una 7,65 suggellati dal crudele colpo di grazia che ne spegnerà per sempre la coraggiosa voce. Cinque colpi in tutto che spegneranno per sempre la coraggiosa voce di Giuseppe Fava. Lui, come Peppino Impastato, Mario Francese, Beppe Alfano. Al di là del colore politico degli ideali, vittime di un crudele gioco di potere. Il più sporco che ci sia.